Siria, il contributo delle donne nella lotta contro Assad...





Di Gabriella Tesoro 
Quanto è cambiata la situazione della donna in Siria con lo scoppio della sanguinosa guerra civile? Quante hanno scelto di unirsi ai ribelli? In quale misura stanno contribuendo al rovescio del presidente Bashar al-Assad?
Prima di rispondere a queste domande, bisogna specificare che durante gli anni di pace relativa le donne, come tutta la popolazione siriana, non godevano del pieno rispetto dei diritti politici e democratici. Per esempio, nelle università era impossibile stampare una rivista femminile senza che questa finisse sotto il controllo governativo, ma non perché il giornale trattasse temi femminili, ma semplicemente perché il regime di Damasco sapeva bene che qualunque iniziativa poteva creare correnti di opposizione. In sostanza, la mancanza dei diritti riguardava indistintamente uomini e donne, timorosi di un sistema dittatoriale che andava avanti da più di 40 anni.
Un'altra grave colpa attribuita ad Assad e che stavolta ha a che vedere nello specifico con le donne, consiste nel non essere riuscito a migliorare la loro condizione. Benché il governo si vantasse di tutelarle, ha sempre affidano loro posizioni insignificanti negli organi di comando. Ma anche l'istituzione governativa creata appositamente, il Sindacato generale delle donne, aveva una tale scarsa importanza da non essere mai riuscita a ottenere pene più severe per gli "omicidi d'onore", molto diffusi in Siria. Ironia della sorte, solo dopo le rivoluzioni in Tunisia e in Egitto, nel 2011 Assad ha alzato la pena massima a cinque anni di carcere per chi commette questo tipo di reato.
Con lo scoppio della rivolta molte cose sono cambiate. In primo luogo la prima persona a chiedere esplicitamente le dimissioni di Assad fu una donna, Muntaha Al - Atrash, figlia di Sultan Al - Atrash, il leader della rivoluzione siriana del 1925. Quando iniziarono le proteste, infatti, gli attivisti chiedevano semplicemente maggiori riforme e non il rovesciamento del regime. Fu invece Muntaha Al - Atrash, in un'intervista telefonica rilasciata a un giornale, a parlare delle dimissioni del presidente come unico mezzo per mettere fine alla rivolta.  
Nel 2011, le donne siriane hanno cominciato a scendere in piazza assieme ai loro mariti e, di conseguenza, anche loro sono state arrestate, andando incontro alle dure condizioni di vita nelle carceri che, benché fossero migliori di quelle riservate agli uomini, comprendevano comunque frequenti abusi sessuali. Nel frattempo, cominciarono a nascere anche le prime organizzazioni gestite da donne, impensabili fino a poco tempo prima, e le donne hanno lavorato fianco a fianco con gli attivisti uomini per organizzare proteste e manifestazioni; in un'interazione sociale che ha incluso moltissimi cittadini siriani, a prescindere dall'etnia o dalla religione, altrettanto impensabile nell'epoca del regime.
Tuttavia, con l'aumentare della brutalità del regime e con lo scoppio della guerra, l'attivismo è via via diminuito e le proteste hanno assunto a loro volta il volto della lotta armata. Si può dire che il picco massimo dell'attivismo femminile si è avuto nel corso del 2012. Dato che gli arresti riguardavano soprattutto gli uomini, le donne li hanno presto sostituiti anche in ruoli importanti e hanno sfruttato la stessa visione sessista della società siriana, che considera la donna il "sesso debole", per poter passare indisturbate da un checkpoint all'altro trasportando beni di necessità come medicine e cibo e portando così un aiuto enorme nei quartieri assediati. La rete venne però scoperta e ancora oggi i militari controllano con attenzione chiunque passi da una zona all'altra.
In sostanza, benché quasi sempre si parli delle donne siriane in riferimento ad abusi sessuali o alle violenze, bisogna riconoscere che questo settore della popolazione ha dato e continua a dare (soprattutto nelle zone liberate, dove hanno creati centri, organizzazioni e movimenti) un grande contributo alla rivoluzione.

(International Business Times)

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