La crisi in Iraq, il nervosismo francese, la rabbia di Hezbollah contro i “ribelli”: sono molte le ragione per cui il regime di Damasco sta improvvisamente ritrovando forza. E alleati..


di Pierre Chiartano

Il triangolo Damasco, Mosca, Teheran che sembrava ormai fragile, schiacciato tra fallimento del progetto internazionalista sciita e revanchismo sunnita, pare si stia rinvigorendo, come una pianta lasciata seccare che improvvisamente riceve uno scroscio di pioggia. L’acqua arriva dalla crisi in Iraq, che sembra sul punto di esplodere,  dove Arabia Saudita e Iran stanno arrivando alla resa dei conti e dal decrescente interesse americano dovuto alla «dottrina Obama». Oltre che da un sempre più nervoso attivismo di Parigi. L’approccio francese, in un Medioriente sempre più islamizzato, assomiglia all’effetto del sale sulle ferite che però non cauterizza. La guerra civile in Siria sembra ormai più una guerra di posizione che una blitzkrieg. Sul campo le khatibe (brigate) salafite hanno il controllo di gran parte delle operazioni militari dell’opposizione armata, ma si sono accorte di quanto sia difficile andare avanti senza l’appoggio aereo. Oltre ad aver avuto l’insana idea di cannoneggiare posizioni di Hezbollah sul confine libanese. Dall’altra parte il tiranno di Damasco sta dando fondo alle scorte di missili Scud. Ne avrebbe utilizzati più di una quarantina per “ammorbidire” i ribelli nel Nord del paese, secondo fonti dell’intelligence turca. Dopo avere provato a colpire i ribelli con i bombardamenti aerei.

La Russia ha messo in guardia il regime siriano e i ribelli contro la prosecuzione del conflitto armato che rischia di condurre a «un annientamento reciproco». Ma intanto ha inviato altre quattro unità navali al largo della Siria. «Nessuna delle parti in conflitto può permettersi di puntare a una soluzione militare», aveva affermato qualche giorno fa il ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Intanto è salito a 53 morti il numero delle persone uccise di giovedì nel pieno centro di Damasco, presso il quartier generale delle forze armate. Lo ha annunciato la tv di stato che ha aggiunto anche una lunga lista di feriti. Il governo siriano punta il dito contro al Qaeda indicato come autore della strage. L’attentato è stato condannato anche dall’opposizione siriana che ha parlato di un’azione «terroristica».
Insomma, conviene a tanti che la Siria rimanga un campo di battaglia, dove dare libero sfogo alle tensioni regionali, in attesa che uno o più attori decidano che sia giunto il momento di chiudere quella valvola di sfogo. L’errore sta nel credere di aver un controllo pieno sugli eventi. Il capo della diplomazia siriana Walid Muallem sarà a Mosca il 25 febbraio, per colloqui che la Russia spera possano avviare una nuova fase negoziale. Mentre la data per l’incontro con l’opposizione siriana non è ancora in agenda. Allo stesso tempo giovedì il principe del Qatar, Tamin bin Hamad al Thani si è incontrato col ministro degli esteri inglese, William Hague. L’attivissimo sheik di al Jazeera è pronto a firmare un assegno da 100 milioni di dollari da girare all’opposizione siriana per comprare armi e rifornimenti. Chiaramente al Thani non ha tanto gradito la decisione di Bruxelles (lunedì) di estendere l’embargo contro la Siria alle armi.  L’attivismo e la disinvoltura politica di Doha in Libia e in Siria hanno causato qualche danno proprio al fiore all’occhiello di al Thani. Al Jazeera usata in maniera spregiudicata per gli interessi del Qatar ha visto crollare la propria credibilità. Pare che il pubblico affezionato al canale all news sia passato da 43 milioni a solo 6 milioni di telespettatori. Il dato positivo è che l’opinione pubblica araba – che qualcuno affermava non esistesse – non solo c’è, ma comincia anche a capire quando qualcuno vuole manipolarla.

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